venerdì 9 gennaio 2015

Charlie Hebdo: una tragedia in diretta

Ciao a tutti,

scrivo raramente di fatti di cronaca non per disimpegno ma per una precisa volontà di cercare il positivo della vita, l'ottimismo e lo stupore. Stupore che però può nascere anche in seguito a fatti e sensazioni negative.

cliccate qui per vignetta di Giannelli del Corriere della Sera di oggi

Oggi stavo guardando un telegiornale, a due giorni dalla tragedia della redazione di Charlie Hebdo (settimanale satirico francese) in cui due uomini armati, hanno sparato e ucciso 12 persone inneggiando al loro Dio.

Al telegiornale c'era la moglie di uno dei giornalisti uccisi che rispondeva coraggiosamente alle domande dell'intervistatrice. Quando quest'ultima le ha chiesto delle dimostrazioni d'affetto ricevute dalla Francia e dalle vittime nel mondo dalle persone che gridavano: je suis Charlie, tutti siamo Charlie, la donna ha cambiato tono quasi, ha risposto più volte no e poi ha detto: hanno ucciso mio marito, l'amore della mia vita, la persona più cara che avevo al mondo...come posso rallegrarmi di questo fatto?
Poi l'inquadratura è sfumata, l'intervista è finita, e sul monitor
son comparsi di nuovo i militari francesci ad armi in mano, divisa da guerra che circondavano un capannone in cui pare siano nascosti i due assassini.

Come si può chiedere ad una donna appena rimasta vedova se è felice per i cori che si alzano nelle strade della gente che grida siamo tutti Charlie? Come si può arrivare a spingere così avanti nelle "notizie" da calpestare quasi i sentimenti di una vittima per "dovere" di share, di pubblico, di cronaca?

Su un articolo comparso oggi sul Corriere della sera c'era questo titolo: Se la jihad emula le tecniche dei videogiochi, che mi ha fatto venire un brivido. Oltre al video stesso delle telecamere di sorveglianza che hanno ripreso i due assassini scendere dall'auto e sparare davvero come un videogame, quelle immagini che riempiono i nostri telegiornali a qualsiasi ora e che spesso, purtroppo, non vengono totalmente censurate. Quel video in cui si sentono i colpi riempire l'aria, quella via che sembra deserta in modo irreale, quell'uomo che sembra un fantoccio, che sembra solo la sagoma di un tiro a segno e che invece una persona vera, che si piega contorto dal dolore degli spari, che ingenuamente alza mani e faccia verso i due esseri che di li a poco diverranno aguzzini, che gli passeranno a fianco distratti e gli pianteranno un ultimo colpo, mortale, in corpo passando oltre ed andando a spezzare altre undici vite.

Ogni volta che alle 19:30 di sera vedo una puntata di Csi New York su Italia1 (rete con un vasto pubblico giovanile) mi chiedo come facciano a trasmettere una serie così cruenta a quell'ora in cui tanti bambini sono ancora svegli e reattici (o recettivi). Certo non si può demonizzare un programma televisivo ma penso spesso che vedendo così tante immagini di morte in televisione (sia in film, che in telegiornali che in serie televisive) che purtroppo penso la gente davvero non caspisca più la distinzione tra finzione e realtà. Tra il succo di pomodoro ed il sangue, tra una bomba e un ventiatore acceso ad arte, sulla vita e la morte.

Siamo tutti Charlie è un bel pensiero. 
Ma non dobbiamo farlo rimanere tale. Non dovrebbe diventare un coro da stadio per le strade, non ci sarà nessuna Katniss a guidare la rivolta, perchè quello che è accaduto non è un film, non è un videogame ma è la realtà che come negli incubi peggiori spesso supera la fantasia.

Concludo con una frase presa dall'articolo di Alzo Cazzullo, qui in versione integrale: Le mille matite della Libertà, negare che sia in corso una guerra, che l'altra sponda del nostro mare sia il campo di battaglia e che l'Europa la retrovia in cui l'esercito islamico tenta di reclutare o infiltrare i suoi combattenti, sarebbe negare la realtà. Ma il confronto con l'Islam non può essere ridotto alla guerra. E' un tema cruciale della modernità, del nostro tempo segnato dalle migrazioni e dal mondo globale.




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