martedì 3 luglio 2012

Amore metropolitano


Quando ha iniziato a guardarmi, mi son sentita come scan-da-glia-re dentro.
Quando il suo avambraccio ha strisciato contro la mia schiena, ho fatto fatica a trattenere uno "scatto da brivido". E quando mi ha fatto un mezzo sorriso, sono diventata rossa come non mi capitava da tempo.
Ci eravamo conosciuti solo da pochi minuti eppure si era creata un’intimità incredibile. Sentivo perfino il suo respiro sbattere contro la mia spalla destra e ringraziavo il cielo che fosse mattina e sapesse di menta.
I suoi occhi non erano come tutti gli altri, erano castani con le ciglia pulite e facevano la spola tra la mia faccia e la mia spalla.
Un continuo andirivieni che mi stordiva.
Curiosa, cercavo di intercettarli ma appena li incontravo, sviavo verso un qualche altro suo punto che andava dal colletto della polo bianca alla bretella dello zaino Invicta che aveva visto anni migliori.
L’aria intorno era quella che conoscevo bene: di buono aveva poco.
Fortunatamente, pensavo tra me e me, questa mattina mi sono spruzzata il mio profumo preferito! Alzavo il collo in modo indifferente - ma segretamente spudorato - e con la coda dell’occhio cercavo di capire se lui associava a me quelle note di bergamotto e passiflora.
Stare così vicini era allo stesso tempo piacevole ed imbarazzante. Avevamo le braccia incrociate e le mani che quasi si sfioravano. Io sentivo il sudore sotto il mio palmo e cercavo disperatamente un fazzoletto nella tasca del giubbotto, cercando di mostrare meno tensione possibile. Ogni tanto ci pensava qualcun altro però a rompere l’atmosfera: starnuti e colpi di tosse si susseguivano uno dopo l’altro e
sviavano la sua attenzione momentaneamente da me. Ne approfittavo così per tirare un sospiro di sollievo e per improvvisare un chek-up istantaneo delle mie condizioni: capelli sciolti, flessuosamente spostati dietro alle spalle per evitare di mettergli in primo piano le doppie punte; colletto della camicia ben piegato fuori dal maglioncino scollo a v; cerniera dei pantaloni: su; scarpe allacciate ma…con polvere sulla punta! Con rapido movimento di caviglia rimediai passandola sul polpaccio della gamba sinistra. Perfetta, come nuova.
Lui era “tornato” da me. Aveva in mano un giornaletto free press che pareva striz-za-to. Intravedevo alcune sue dita con le punte nere e senza accorgermene avevo spalancato gli occhi: mi aveva ricordato che anche io poco prima ne avevo stretto uno con la mano che ora era proprio ad altezza della sua visuale. Indifferente, l’avevo abbassata lentamente come per sgranchirmi e dopo trenta secondi era finalmente fuori dalla sua “portata di giudizio”. Ci mancava solo che pensasse che ero una zozzona con le mani sporche!
Quando ormai il ghiaccio si stava per rompere…era arrivata la chiamata di mia mamma. Guardando il nome sul display avevo montato una smorfia tipo “la mamma è sempre la mamma” e avevo cercato di mantenere quell’espressione per tutto il tempo della telefonata mentre lei mi chiedeva nell’ordine: se fossi riuscita a prendere il treno per tempo, se mi fossi messa gli stivali che da lei aveva ri-iniziato a nevicare, se avessi messo tutto il cibo necessario ai conigli che avevo lasciato in casa da soli e se i biscotti allo psillio avessero fatto effetto. Colpita quasi in modo fisico da quella domanda inaspettata (come se tutte le persone nel giro di 50 metri l’avessero udita), le borbottai qualcosa tipo: “E dai magari te lo dico quando ci vediamo…!”. E nello stesso momento avevo abbassato lo sguardo verso la mia pancia che sembrava implorare aiuto alla Marcuzzi e al suo fidato bifidus. Imbarazzata come non mai mi ero chiesta se lui, che mi stava sempre vicino, avesse capito a cosa si era riferita mia madre chiedendomi dei biscotti e ricominciavo a fare la vaga alzando gli occhi verso un cielo che non c’era. 
Lui fortunatamente non sembrava aver sentito quell’incauta domanda e pareva non gli pesasse aspettare che io finissi di parlare al cellulare.
Per me invece ogni secondo passato con il telefono incollato all’orecchio era un secondo rubato a noi, un’occasione persa. Così velocemente liquidai la mamma con la solita fintissima scusa dei problemi di linea che colpiscono le persone quando non hanno più voglia di stare al telefono.
Ero di nuovo libera, ero di nuovo tutta per lui.
Dalla polo gli spuntava una collana di acciaio a maglie larghe e con lo sguardo ero andata verso la sua mano che avevo vicina per vedere se indossava anche un bracciale coordinato, un particolare che mi faceva impazzire. Sul suo polso destro spuntava solo un orologio arancione che mi faceva venir voglia di chiedergli come mai lo portasse lì e non sul sinistro (che secondo me era molto più fine). Mi sembrava però una cosa troppo diretta da chiedere visto che non era passata neanche mezz’ora dal nostro primo incontro.
Ammetto che lo stavo squadrando tutto. Dopotutto lui non faceva diversamente! Era davvero divertente e mi sembrava di essere tornata a scuola quando scannerizzavi da capo a piede colui che ti piaceva. Se l’insieme delle scansioni era positiva, cercavi un modo per entrare in contatto con l’oggetto dei tuoi desideri. La maggior parte delle volte ci riuscivi grazie all’intervento delle tue amiche, con cui andavi per i corridoi a braccetto per quattro. Quando il tuo prescelto si stagliava all’orizzonte, si partiva in sua direzione ed immancabilmente…ti ci spingevano contro. Sembrava un qualcosa di casuale. Almeno questo era quello che volevamo far credere, ma col tempo capimmo che non ci cascava nessuno e…lo facevamo lo stesso. Ora non avevo amiche al fianco eppure ci continuavamo a tamponare un minuto dopo l’altro. Avevamo scelto noi quel posto e nonostante il casino intorno mi sembrava di essere lì da sola con lui.
Ero contenta quella mattina: l’ennesima corsa sulle scale non era stata inutile, mi aveva permesso di incontrarlo! Quando ero arrivata ero affannata ed il cappellino mi si impennava a mezza testa. Ero riuscita a prenderlo prima che mi cadesse all’indietro e avevo sorriso soddisfatta tra me e me. Chissà come dovevo essergli sembrata buffa! Lui era sembrato sorpreso di vedermi e mi aveva fatto spazio verso di sé. Lo avevo ringraziato ad occhi bassi e mi ero scusata per la mia foga, ma era lunedì mattina e tutti avevano fretta. Il suo sguardo fisso mi aveva spronata a dirgli qualcosa di più e non avevo trovato niente di meglio da raccontargli tranne che ogni mattina era la stessa storia ma ormai ero abituata. Mi ero lasciata andare confidandogli che una volta mi arrabbiavo anche io come molti altri ma che ultimamente avevo capito che prendersela serviva solo a farsi venire il fegato amaro e…le rughe. Aveva sorriso e mi era sembrato sul punto di parlarmi ma poi un qualcosa dietro di me l’aveva distratto. Sembrava aver perso l’attimo e stavamo li, a neanche 20 centimetri di distanza, a fantasticare su di noi. Poi, d’improvviso, una voce: Lo-re-to. Il suo braccio aveva strisciato veloce contro il mio giubbotto ed il suo zaino si era bloccato sotto il mio piede. Sembrava proteso ancora di più verso di me e mi aveva fissato con uno sguardo tra il profondo e l’implorante. Avevo alzato il mio piede, orgogliosamente vestito con la scarpa pulita, e finalmente? La sua voce, bassa e quasi titubante: “Hai un semino nero tra i denti”, accompagnato da un occhiolino di solidarietà.
Il mio sorriso era svanito in un nanosecondo e le labbra mi si erano serrate immediatamente. Avevo ruotato gli occhi in ogni direzione, tranne che la sua. Il tempo di dirgli un balbettante: “Grazie” ed era già fuori dalla carrozza, defluito assieme alle centinaia di persone che adese a noi stipavano un vagone della metropolitana di mattina, fuoriuscite come l’acqua da un rubinetto quando si toglie il tappo.
Un semino nero tra i denti. Un dannato semino dei biscotti della mia mamma per andare di corpo. Mezz’ora di sguardi e di cenni d’intesa e tutto per? Per farmi capire che avevo una cosa tra i denti!
Ancora poche fermate alla mia e nessuno specchietto per sopperire all’inconveniente.
A furia di cercare il maledetto intruso con la lingua, sembravo una maniaca in preda a delle convulsioni. Per il restante tragitto risolsi l’imbarazzo respirando solo col naso e salutando eventuali persone conosciute con un rapido cenno della mano. Una volta in ufficio però, davanti allo specchio, mi è tornato il sorriso: i tempi della scuola, come quelli delle illusioni, sembrano proprio non finire mai.

* Lo Psillio (Plantago psyllium) è una pianta officinale appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae, diffusa nel bacino del Mediterraneo. I suoi semi che costituiscono un potente ma innocuo lassativo naturale. Essi sono piccoli, di colore nero, insapori e inodori.

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