lunedì 16 marzo 2020

Amuchina, di Alessandro D'avenia

In questi giorni di #iostoincasa per l'epidemia di coronavirus molti studenti fanno lezioni on-line e hanno diversi compiti delle materie più disparate (anche io e la Titti assegniamo "compiti" in forma di circuiti fisici alle ragazze delle nostre U14 e U21).

Al mio Lollo, che fa la prima superiore, la prof.ssa di Italiano ha assegnato un compito: leggere e scrivere una propria riflessione sull'articolo "Amuchina" di Alessandro D'Avenia apparso sul Corriere della Sera il 2/3/2020. Articolo che trovate cliccando qui.

Sinceramente non l'ho trovato un testo semplicissimo da leggere per un ragazzino ma il bello dei giovani è che, se non li sottovalutiamo, sanno sempre stupire e arrivare a idee e pensieri originali.

Vi riporto due passaggi dell'articolo che mi hanno colpita e fatta pensare:




Come vi state comportando voi in questi giorni?
Come vedete gli altri e sopratutto cosa vedete negli altri?
Si dice che la reazione di una persona ad un evento (bello o traumatico è indifferente) non sia prevedibile. Ne giudicabile, certamente. Però condivido fortemente le parole di D'avenia, che cito "non si sa a chi credere e in assenza di verità, la paura, senza un preciso oggetto, diventa angoscia, che rende l'agire assurdo".
Eccoci qui quindi, chiusi in casa con
tg angoscianti che riportano numeri tremendi di morti, ipnotizzati dal teleschermo che trasmette bollettini angoscianti, che ci richiama con messaggi sonori d'allarme ogni cinque minuti, chiedendoci di fare attenzione, di essere civili, di stare lontani, coperti, di lavarci - lavarci - lavarci (zozzoni!) e di aspettare che tutto passi. Mentre l'ansia cresce, mentre l'insofferenza cresce, mentre la paura cresce (perché checchesenedica stare in casa, confinati e reclusi non è certo la situazione migliore per svagarsi e rilassarsi).
La mia paura è che questa sfiducia che ci fa guardare gli altri come portatori di morte e malattie si propaghi anche quando questa emergenza sarà finita. Spero di no, spero proprio che non sarà così e che si possa tornare presto a guardare un nostro simile non come qualcuno da cui scappare ma qualcuno con cui condi-vivere qualcosa.

Fatemi confessare una cosa che mi lascia estremamente perplessa di questi giorni: si moltiplicano le iniziative di affacciarsi al balcone e gridare, cantare, fischiare, sventolare le luci salutando festosi vicini che fino ad allora non si aveva mai considerato e che se torneremo in strada non si guarderanno neanche in faccia perché diciamocelo la paura tremenda di questo virus è che non si vede e che tutti potrebbero essere degli "untori" e quindi è paradossale che la gente si senta solidale solo se... separata da una grata e da decine di metri dagli altri.
Speriamo che più nessuno cada per strada, abbia un incidente o svenga perchè non so quanti di quelli affacciati al balcone gli presterebbe aiuto...

Quindi accogliamo l'esempio proposto da D'Avenia, quel Decameron scritto in un periodo di peste (che fece mooolti più morti), e proviamo a creare qualcosa: non state tutto il giorno davanti alla tele, inventate una ricetta, un trick con la palla, un gioco col cane, un disegno coi piedi, il testo di una canzone. Non smettiamo di essere gli esseri speciali che siamo ma sopratutto... non dimentichiamoci di essere umani.






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