domenica 27 dicembre 2020

Coach Carter: la palestra come scuola di vita

Su segnalazione di una mia giovanissima atleta, che con la tipica costanza dei suoi quattordici anni (in stile goccia cinese) mi ha chiesto tipo venti volte se avessi visto questo film… durante le feste le ho fatto un regalo mi sono fatta un regalo guardando finalmente questo film del 2005 da lei consigliatomi e... mi è piaciuto molto. Oltretutto è ispirato ad una storia vera!

Di cosa parla Coach Carter:

  • basket
  • regole
  • studio
  • squadra
  • valori


La squadra di basket del liceo di Richmond è la tipica squadra di scappati di casa, sbruffoncelli con la battuta pronta e l'insolenza di chi vive senza regole. A metà campionato viene chiamato per allenarli un ex studente e giocatore di Richmond: coach Carter (interpretato da Samuel L. Jackson). Fin dall'inizio il nuovo allenatore mette bene in chiaro alcune regole da cui partire: educazione, rispetto e voglia di allenarsi. Le regole non sono solamente enunciate a voce ma messe anche per iscritto in un contratto che ragazzi ed allenatore devono firmare ed impegnarsi a rispettare. Una delle regole del contratto che fa più discutere è la media scolastica: i ragazzi infatti dovrebbero impegnarsi con gli studi come per gli allenamenti ma pochissimi hanno una buona media e nessuno dei loro genitori o insegnanti pretende che studino a differenza di coach Carter che crede che buoni voti siano importanti per riuscire ad entrare al College e quindi avere un futuro migliore. Nonostante la sbalorditiva serie di vittorie, quando l'allenatore scopre che molti dei suoi atleti saltano le lezioni e hanno voti bassi, chiude la palestra e non fa partecipare la squadra alle partite. Tutta la comunità si ribella, il consiglio scolastico vota per la riapertura della palestra e coach Carter, fedele alle sue idee, si dimette. Quando va in palestra per raccogliere le sue cose e la trova aperta trova però i suoi ragazzi sui banchi a studiare! E quando la media del gruppo raggiunge il punteggio da lui richiesto si riprende a giocare arrivando perfino al torneo statale ma soprattutto quel gruppo vedrà ben sei dei suoi atleti andare al college (quando la percentuale di diplomati dell'intera scuola era inferiore al 50%). . 

Coach Carter è il tipico film americano sulle scuole di periferia con metal detector agli ingressi e ragazzi con cattive frequentazioni, spesso senza genitori o con parenti in galera, ragazzini allo sbando, senza guida e senza regole ma soprattutto senza scopo. Per coach Carter la palestra quindi non è solo un luogo dove passare il tempo giocando con una palla ma uno spazio dove imparare regole di vita e dove viene premiato l'impegno e la collaborazione di squadra. Carter da uno scopo ai suoi ragazzi, li rimette in forma, stabilisce regole senza cedere ai loro ricatti, continuando ad essere coerente con i suoi insegnamenti per cercare di far capire loro che la vita non è solo basket e che per avere un futuro migliore bisogna lavorare sodo ed impegnarsi anche nelle cose che a volte si trovano e pesanti come i compiti e lo studio. 

La scena per me più emozionante, che mi ha ricordato la scena finale de "L'attimo fuggente" che vi tornerà in mente con le parole o capitano, mio capitano! è stata quando il più ribelle dei suoi giocatori si è alzato in piedi a recitare "La nostra paura più grande" di Marianne Williamson:

La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
È la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: “Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso?”
In realtà chi sei tu per non esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
È quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
È quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.


Qui sotto il testo originale di M. Williamson:

Our Deepest Fear
By Marianne Williamson

Our deepest fear is not that we are inadequate.
Our deepest fear is that we are powerful beyond measure.
It is our light, not our darkness
That most frightens us.

We ask ourselves
Who am I to be brilliant, gorgeous, talented, fabulous?
Actually, who are you not to be?
You are a child of God.

Your playing small
Does not serve the world.
There's nothing enlightened about shrinking
So that other people won't feel insecure around you.

We are all meant to shine,
As children do.
We were born to make manifest
The glory of God that is within us.

It's not just in some of us;
It's in everyone.

And as we let our own light shine,
We unconsciously give other people permission to do the same.
As we're liberated from our own fear,
Our presence automatically liberates others.

Quindi si, coach Carter mi è piaciuto molto perché mostra come un allenatore che tiene ai suoi ragazzi non è solo una persona che si occupa del loro fisico, delle loro abilità tecniche ma anche, per quanto possibile, della loro "formazione umana". 


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