martedì 4 febbraio 2014

Il Tesoro dei poveri - Gabriele D'Annunzio

Mi sono imbattuta in un libro scolastico del 1969 e tra i tanti bei testi, uno di quelli che mi ha colpito di più è questo che segue.
Lo pubblico oggi perchè nell'andare a lavoro ho sentito una signora di oltre cinquanta anni che diceva ad un ragazzo più giovane: devo prendere il treno alle 6.25 per venire qui però sai...è un sacrificio che faccio perchè è stata l'unica occasione che ho trovato, non sai quanto sia difficile trovare lavoro alla mia età. Il tono di sconforto che aveva mi ha toccato il cuore, come un pezzo in particolare di questa storia che...vi dirò a fine lettura.

Oggi come ieri...i nostri bisogni non sembrano cambiare. Leggete bene il finale.

C’era una volta, non so più in quale terra, una coppia di poverelli.
Ed erano, questi due poverelli, così miseri che non possedevano nulla, ma proprio nulla di nulla.
Non avevano pane da metter nella madia, né madia da mettervi pane.
Non avevano casa per mettervi una madia, né campo per fabbricarvi casa.
Se avesser posseduto un campo, anche grande quanto un fazzoletto, avrebbero potuto guadagnare tanto da fabbricarvi casa.
Se avessero avuto casa, avrebbero potuto mettervi la madia.
E se avessero avuto la madia, è certo che in un modo o in un altro, in un angolo o in una fenditura, avrebber potuto trovare un pezzo di pane o almeno una briciola.
Ma, non avendo né campo, né casa, né madia, né pane, erano in verità assai tapini.

Ma non tanto del pane lamentavano la mancanza, quanto della casa.
Del pane ne avevano abbastanza per elemosina, e qualche volta avevan anche un po’ di companatico e qualche volta anche un sorso di vino.
Ma i poveretti avrebber preferito rimaner sempre a digiuno e possedere una casa dove accendere qualche ramo secco o ragionar placidamente d’innanzi alla brace.
Quel che v’ha di meglio al mondo, in verità, a preferenza anche del mangiare, è
posseder quattro mura per ricoverarsi. Senza le sue quattro mura, l’uomo è come una bestia errante.
E i due poverelli si sentirono più miseri che mai, in una sera triste della vigilia di Natale, triste soltanto per loro, perché tutti gli altri in quella sera hanno il fuoco nel camino e le scarpe quasi affondate nella cenere.

Come si lamentavano e tremavano su la via maestra, nella notte buja, s’imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo roco e dolce.
Era, in verità, un gatto misero assai, misero quanto loro, poiché non aveva che la pelle su le ossa e pochissimi peli su la pelle.
S’egli avesse avuto molti peli su la pelle, certo la sua pelle sarebbe stata in miglior condizione.
Se la sua pelle fosse stata in condizion migliore, certo non avrebbe aderito così strettamente alle ossa.
E s’egli non avesse avuta la pelle aderente alle ossa, certo sarebbe stato egli forte abbastanza per pigliar topi e per non rimaner così magro.
Ma, non avendo peli ed avendo invece la pelle su l’ossa, egli era in verità un gatto assai meschinello.

I poverelli son buoni e s’aiutan fra loro.
I due nostri dunque raccolsero il gatto e neppure pensarono a mangiarselo; ché anzi gli diedero un po’ di lardo che avevano avuto per elemosina.
Il gatto, com’ebbe mangiato, si mise a camminare d’innanzi a loro e li condusse in una vecchia capanna abbandonata.
C’eran là due sgabelli e un focolare, che un raggio di luna illuminò un istante e poi sparve.
Ed anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicché i due poverelli si trovaron seduti nelle tenebre, d’innanzi al nero focolare che l’assenza del fuoco rendeva ancor più nero.
«Ah!» dissero, «se avessimo appena un tizzone!

Fa tanto freddo! E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare favole!»
Ma, ohimè, non c’era fuoco nel focolare, poiché essi erano miseri, in verità miseri assai.
D’un tratto due carboni si accesero in fondo al camino, due bei carboni gialli come l’oro.
E il vecchio si fregò le mani, in segno di gioia, dicendo alla sua donna: «Senti che buon caldo?»
«Sento, sento,» rispose la vecchia.
E distese le palme aperte innanzi al fuoco.
«Soffiaci sopra,» ella soggiunse. «La brace farà la fiamma.»
«No,» disse l’uomo, «si consumerebbe troppo presto.»
E si misero a ragionare del tempo passato, senza tristezza, poiché si sentivano tutti ringagliarditi dalla vista dei due tizzoni lucenti.
I poverelli si contentan di poco e son più felici. I nostri due si rallegrarono, fin nell’intimo cuore, del bel dono di Gesù Bambino, e resero fervide grazie al bambino Gesù.

Tutta la notte continuarono a favoleggiare scaldandosi, sicuri ormai d’essere protetti dal bambino Gesù, poiché i due carboni brillavan sempre come due monete nuove e non si consumavano mai.
E, quando venne l’alba, i due poverelli che avevano avuto caldo ed agio tutta la notte, videro in fondo al camino il povero gatto che li guardava dai suoi grandi occhi d’oro.
Ed essi non ad altro fuoco s’erano scaldati che al baglior di quelli occhi.

(E il gatto disse: «Il tesoro dei poveri è l’illusione.»)

Quindi due poveri possono essere privi di tutto ma ciò di cui sentiranno maggiormente la mancanza saranno quattro mura in cui stare. Mi è venuto un flash che mi ha portata fino ai giorni nostri quando molti di noi stanno affrontando una crisi da cui non sanno più come uscire con tasse sempre più alte da pagare e mutui che la gente non sa più come estinguere. Tutto per...avere un tetto sopra la testa, dei locali per dire questa è casa mia e per provare a chiudere fuori tutti (gli altri) problemi.

Voi cosa ne pensate?

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